Tante sono le forme di cambiamento che siamo chiamati almeno una volta nella vita a dover affrontare. Spesso le regole che ci hanno insegnato hanno perso di significato, quindi farsi trovare preparati è di importanza vitale. Ma avere la consapevolezza di quel cambiamento lo è ancora di più, se poi abbiamo a disposizione gli strumenti giusti per attuarlo e una guida al nostro fianco.
Si parla molto di coaching, ma ho la sensazione che si conosca ancora poco di quello che realmente offre un percorso del genere a persone e aziende. Per cui, per fare un po’ di chiarezza sul tema, ho chiesto un aiuto molto pragmatico ad Alessandra Giardiello, trainer e coach per la società di consulenza Otherwise.
Alessandra: Cambiare oggi, implica un impegno di risorse – non necessariamente tutte economiche – che persone e aziende devono tenere in considerazione nel loro percorso di nuova realizzazione. Una frase di Carl Rogers che cito spesso è questa: “Esiste un curioso paradosso: quando mi accetto così come sono, allora posso cambiare”. E qui troviamo già 3 elementi cardine di un percorso di coaching: la consapevolezza di sé, il potere inteso come volontà di agire, e l’idea di cambiamento.
Partiamo dagli inizi: chi è il coach e che cosa fa? Al termine coach sono spesso associati diversi significati, più o meno esaustivi tra cui quello di allenatore derivante dalla trasposizione inglese del termine “coach”. Il termine deriva dal nome di una speciale carrozza che per la sua comodità si diffuse in Europa nel XV secolo cambiando nome a seconda del paese in Germania “Kutsche”, in Francia “Coche”, in Italia “Cocchio” e in Inghilterra “Coach”. La metafora del carro, che porta le persone da un punto ad un altro, viene utilizzata nella prima metà dell’800 dal Consiglio Universitario della Oxford University, che ingaggia un “Tutor” per condurre gli studenti a raggiungere migliori risultati accademici. In maniera del tutto innovativa, il Tutor viene chiamato Coach e lo studente Coachee. Dopo questa esperienza il coaching prende piede e diventa una pratica utilizzata non solo nell’ambiente accademico, ma anche nello sport e nel secolo successivo, negli USA, nell’ambito Corporate.
Personalmente, amo considerare la mia professione come una sorta di “grimaldello”, uno strumento in grado di sbloccare qualche meccanismo inceppato, che aiuta il coachee ad esplorare nuovi spazi e ad aprire nuove porte.
L’ International Coach Federation definisce il coaching “come una partnership con i clienti che, attraverso un processo creativo, stimola la riflessione, ispirandoli a massimizzare il proprio potenziale personale e professionale (…) i clienti sono in grado di apprendere ed elaborare le tecniche e le strategie di azione che permetteranno loro di migliorare sia le performance che la qualità della propria vita (…)”
Perché un’organizzazione dovrebbe scegliere di intraprendere un percorso di coaching per i suoi collaboratori? Scegliere di fare un percorso di coaching è soprattutto un’opportunità per conoscersi ed essere attori di un cambiamento, da vivere con estrema libertà ma anche responsabilità. Sono convinta del fatto che possiamo sempre influenzare quello che accade. Ma Libertà e Responsabilità sono due concetti che – se pur apparentemente opposti – vanno di pari passo, poiché nel momento in cui si sceglie di agire, occorre anche assumersi la responsabilità e il rischio di ciò che si fa. Questi sono due elementi che ti mette davanti il coaching: da un lato la libertà intesa come consapevolezza di sé e possibilità di scegliere; dall’altra parte la responsabilità di agire, perché se non si prova a fare qualche cosa di diverso difficilmente le cose cambieranno.
Riscoprire il potenziale umano è un altro fattore determinante. Sia per il coachee, che scopre il suo potenziale e che lo mette in atto, ma anche ogni volta per il coach. Il coaching per le aziende viene utilizzato per dare supporto a persone che devono affrontare un cambio di ruolo, magari assumendosi maggiori responsabilità. In questo senso viene inteso come acceleratore del cambiamento, e affidarsi ad un coach ti attrezza, ti guida. Oppure viene usato con persone o gruppi che stanno vivendo delle difficoltà nella posizione in cui sono, per cui non devono necessariamente crescere ma devono essere un po’ rinforzate.
Come viene vissuto dalle persone e dalle aziende? Le persone lo vivono positivamente perché viene visto come un momento di apertura, confronto e riflessione. Uno spazio per pensare a sé e costruire qualcosa di diverso. La proattività del coachee è fondamentale, deve impegnarsi nel portare avanti un piano altrimenti avrebbe poco senso. Deve essere la persona ad agire.
Il nostro ruolo è appunto quello di essere il famoso “grimaldello” che sblocca. Molto spesso, crediamo di non riuscire a fare qualcosa che desideriamo perché non ci siamo soffermati abbastanza sulla decodifica del desiderio sotto forma di obiettivo, perché non abbiamo mai pensato né definito un vero piano, analizzato sinceramente ciò che quel desiderio significa per noi. E anche quando ci proviamo, possiamo bloccarci a causa di qualcosa di più profondo, delle convinzioni, delle credenze, delle paure, e quindi è su quello che dobbiamo andare a lavorare. Incontriamo nel coaching una dimensione profonda di esplorazione e poi una dimensione concreta, che aiuta le persone a fare e a mettersi in azione. Le aziende devono essere pronte ad accogliere questo cambiamento. Personalmente non mi è mai capitato di vedere organizzazioni che abbiano chiesto un percorso di coaching e poi non fossero pronte a sostenere l’evoluzione della persona nella direzione desiderata.
Un altro aspetto fondamentale della nostra professione è l’obiettivo; non esiste un percorso di coaching senza un obiettivo definito, realistico per l’orizzonte temporale della persona, e in base alle risorse e all’energia che intende dedicarvi. Questo per esempio è un elemento di netta differenziazione da altre forme di aiuto.
Vivere all’interno di organizzazioni complesse ti porta a gestire relazioni e dinamiche complesse. Il coaching aiuta anche a misurarsi con questo aspetto? Certamente. Il coaching è un buon strumento per prendere consapevolezza anche di tutte quelle dinamiche tra colleghi, con i capi o con i collaboratori. Credo che la consapevolezza più importante da cui partire sia quella dell’interdipendenza che caratterizza un qualunque sistema organizzativo. Perché ogni scelta agita, ogni atto di responsabilità, ogni comportamento, influenza l’ecosistema, il cui equilibrio è dato dall’energia delle varie parti. Occorre rendersi conto di far parte di un sistema più ampio che in qualche modo influenziamo…che pezzettino vogliamo essere? Cosa possiamo fare? E’ una presa di consapevolezza importante, e di responsabilità che l’individuo si assume. Passare da una logica ego-centrata a una logica eco-sistemica. Prendersi una responsabilità, agire una scelta, significa sempre influenzare l’equilibrio dell’ecosistema organizzativo che abitiamo. D’altro canto, anche le organizzazioni dovrebbero essere più adatte, illuminate e illuminanti in questo binomio di libertà-responsabilità.
Che cosa pensa Alessandra a fine giornata? Mi ritengo una persona fortunata, fare coaching è una bellissima professione che per quel che mi riguarda mi ha permesso di soddisfare la mia curiosità, il mio desiderio di ricerca e di apprendimento.
Ricordo che da bambina ero affascinata dal personaggio di Maya del telefilm Spazio 1999. Maya si trasformava e assumeva diverse sembianze in base alle situazioni, spesso era un felino o un rapace, e questo mi incuriosiva tantissimo. E penso che questa fantasia un po’ improbabile di “essere altro” si sia in qualche modo realizzata grazie al coaching. Entrare in empatia con il coachee, stare al suo fianco mentre percorre nuove strade, esplora sé stesse e il suo mondo, stimolarlo e aiutarlo a ridisegnare percorsi di vita personale o professionale, e poi tornare a me. Essere uno strumento capace di sbloccare, allentare quei meccanismi che spesso impediscono di trovare il proprio posto nel mondo. Essere uno strumento, che ogni volta assume sembianze un po’ diverse.
Una professione innovativa, che esplora …. Occorre essere curiosi, attenti, solidi; aver chiaro il senso di quello che si fa e, al tempo stesso, ogni volta mettersi un po’ in discussione. La grande qualità che un coach deve avere, o che può sviluppare, è l’ascolto. Ascoltare con la certezza che le persone troveranno le risorse necessarie alla trasformazione desiderata, anche attraverso le risposte alle tante domande che (da noi) riceveranno.
>> Per alcuni dati e scoprire i principali trend della professione, puoi leggere l’articolo di Giovanna d’Alessio “Il coaching in Italia 2012 – 2016“
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