Tra ginocchia sbucciate, calli alle dita e la gioia della vittoria.
Impariamo nelle palestre o nei campi da gioco, di qualunque disciplina sportiva, come relazionarci con gli altri e come comunicare (e gestire) le nostre emozioni. Vittorie, sconfitte, fatica, attese. Da bambini come da adulti. Dentro e fuori il campo, le emozioni raccontano chi siamo.
Sono d’accordo con Luigi Di Maso che in Italia il Digital Marketing Sportivo, o meglio ancora la Comunicazione Sportiva, è un settore che deve ancora trovare la sua strada. Mi riferisco soprattutto alle realtà più piccole che popolano i quartieri delle nostre città, quelle degli sport “minori”, che fanno più fatica a portare avanti un coerente progetto di comunicazione in cui identificarsi e attraverso il quale raccontare i propri valori, non solo un calendario agonistico.
Sono cresciuta tra le pedane di gara della ginnastica ritmica. Erano gli anni ’80 e questo sport era pressoché sconosciuto. In TV campeggiavano i cartoni giapponesi con le eroine della pallavolo, a parte una timida incursione nel 1988 di Hilary ragazzina appassionata di ginnastica ritmica, alle prese tra allenamenti, studio e primi amori.
Mi chiamavano “figlia d’arte” perché mio padre e mia madre erano entrambi professionisti del mondo sportivo della mia città, rispettivamente maestro di tennis ed insegnante di educazione fisica. Molti pesaresi erano stati allievi, studenti o addirittura colleghi dei miei genitori. Ho fatto atletica a scuola, ho giocato un po’ a pallavolo, ho giocato (ovviamente) a tennis senza innamorarmene mai veramente, e sono stata ginnasta fino ai 18 anni gareggiando a livello nazionale con la squadra. La fama del mio cognome mi precedeva.
Altri tempi. Non esistevano i social networks, non c’erano gli smartphone, e quando ti passavano a prendere per gli allenamenti in palestra ti facevi trovare pronta sotto casa, possibilmente con i compiti per il giorno dopo già fatti. Le divise di gara, gli amati ‘body’, non erano decorati e pieni di lustrini come degli abiti di scena. Eravamo delle ragazzine che in punta di piedi, con le ginocchia sbucciate e i calli alle dita, dovevano dominare un quadrato di 12×12 m sotto l’occhio vigile delle giudici, attente a destreggiare piccoli attrezzi saltando e creando emozionanti coreografie senza perdere il ritmo della musica. Eleganza e potenza fisica. Espressività e tecnica. Erano lacrime amare se perdevi l’attrezzo durante l’esibizione, perché avevi compromesso il risultato di gara, e con esso mesi di allenamento.
Quel mondo valoriale ed emotivo legato a quel tipo di esperienza, andrebbe raccontato e condiviso con il pubblico. Sia per la ginnastica sia per altri sport come il nuoto, il tiro con l’arco, l’atletica, il basket e persino la danza.
Ritorno sulla bellissima campagna di Under Armour “Rule Yourself” di cui si è parlato più volte e che, oltre al pluripremiato campione Phelps, ha scelto altri protagonisti come la squadra di Ginnastica Artistica degli Stati Uniti e la nazionale di Ginnastica Ritmica Russa. Il tema è sempre lo stesso: riuscire a raccontare cosa c’è dietro all’eroe, dietro alle vittorie e alle medaglie. Raccontare l’aspetto umano della fatica, del sacrificio e del dolore, non solo la cronaca di un campionato o di un risultato.
“It’s what you do in the dark that puts you in the light”.
Negli anni il mio attaccamento allo sport è andato un po’ scomparendo, a causa dello studio e di scelte di vita legate al lavoro. Una passione che ho riscoperto nella mia nuova veste professionale, quasi un ritorno alle origini, in cui come libera professionista aiuto le aziende e collaboro al fianco di società sportive per identificare una loro linea narrativa per comunicarsi al meglio attraverso i canali online e offline. Individuando temi e obiettivi su cui incentrare il proprio rapporto con il pubblico. Come siamo percepiti dall’esterno? E come vengono gestite le informazioni con i canali così detti più “tradizionali”? Come ingaggiamo i nostri fan?
Quello di Riccione sarà un primo grande appuntamento, che vede l’adesione di grandi federazioni italiane e volti noti del giornalismo sportivo e del marketing. Sicuramente una grande occasione di visibilità per un settore che deve ancora definire le sue regole del gioco. Anche lo sport è un business, e può essere gestito come tale da un punto di vista di strategie e contenuti. #sportmarketingfest
Se ti occupi di sport e vuoi saperne di più sul perché è importante avere una buona strategia di digital marketing, non perdere il primo Sport Digital Marketing Festival e inizia a leggere il contributo dei fondatori di We Are Social